Martire di Cristo, fedele e gioiosa discepola del Vangelo

Riflessione biblico-teologica di P. Ronco, imc, sul martirio

Vorrei iniziare questa riflessione con una lode al Signore, il Vivente, nella nostra comunità di viventi:

“Noi ti rendiamo grazie,
Signore Dio onnipotente, *
che sei e che eri,
poiché è stato precipitato
l’accusatore dei nostri fratelli,
colui che li accusava davanti al nostro Dio
giorno e notte.
Ma essi lo hanno vinto
per mezzo del sangue dell’Agnello
e grazie alla testimonianza del loro martirio;
poiché hanno disprezzato la vita
fino a morire.
(Ap 12, 10-12).

 

IL MARTIRIO “GLOBALIZZATO” 

Ben 13 mila testimonianze di martirio sono custodite nei locali della Basilica di S. Bartolomeo all’Isola Tiberina. Uomini e donne, gente del nostro tempo, che, imitando Cristo, hanno reso visibile la vittoria dell’amore sull’odio.

 “Quanti figli e figlie della Chiesa nel corso dei secoli hanno seguito questo esempio! Dalla prima persecuzione a Gerusalemme a quelle degli imperatori romani, fino alle schiere dei martiri dei nostri tempi. Non di rado, infatti, anche oggi giungono notizie da varie parti del mondo di missionari, sacerdoti, vescovi, religiosi, religiose e fedeli laici perseguitati, imprigionati, torturati, privati della libertà o impediti nell’esercitarla perché discepoli di Cristo e apostoli del Vangelo; a volte si soffre e si muore anche per la comunione con la Chiesa universale e la fedeltà al Papa” (Benedetto XVI, 26 dicembre 2007).
La chiesa delle origini conservava con amore le reliquie dei martiri, fino a porle sotto l’altare, dove si celebrava l’Eucarestia. Nel 1926, nella chiesa di Belezma in Algeria, venne ritrovato un vaso canopo che racchiudeva le reliquie dei martiri della Chiesa africana. Fui molto impressionato dalla scritta che decorava il coperchio: In isto vaso sancto congregabuntur menbra (sic) Christi. I martiri erano venerati come membra di Cristo!

 

1 – da sempre, nella chiesa, la missione suscita i martiri:

2 – nella comunità delle origini

Nel Nuovo testamento il centro dell’interpretazione di ogni martirio è Gesù. La sua passione e morte illuminano e orientano la vita dei discepoli e della prima comunità cristiana. Il martire è il testimone qualificato di Cristo, della sua resurrezione.

Se si analizza l’esperienza di S. Paolo si può trovare conferma delle affermazioni appena fatte.

“Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù (pantote thn nekrwsin tou ihsou en tw swmati),  perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale”(2 Cor 4, 7-11).

Usando il termine “necrosis”, Paolo esprime la “fisicità” di tale morire che si attua continuamente nella sua vita. In Paolo, il martire è colui che si identifica a Cristo nella sua kenosi, nel suo morire, esteso però alla condizione esistenziale di tutta la vita.

3 – lungo la storia              

Nella seconda era del cristianesimo, il concetto di martire va arricchendosi di ulteriori contenuti. In particolare sarà durante i primi due secoli, con la distinzione tra Confessores e Martyres, fatta dal Martyrium Polycarpi, che si fisserà il significato dei termini e si aggiungerà al concetto di martirio quello del dono cruento della propria vita. Va rilevato che il martirio è atto di amore e “si giustifica soltanto come supremo atto d’amore a Dio ed ai fratelli” (Benedetto XVI).

Viene precisata una distinzione molto importante tra ‘confessori della fede’ e ‘martiri’. I confessori della fede sono coloro che hanno sofferto a causa della testimonianza della loro fede, ma non hanno subìto la morte. Martiri, invece, sono tutti coloro che hanno subìto la morte. La testimonianza pubblica della fede in Gesù Cristo fino alla morte violenta viene designata con il termine riassuntivo di «martirio».

Nelle lettere di S. Ignazio di Antiochia, il martirio è presentato come un’offerta sacrificale a Dio, come colui che perpetua il sacrificio di Cristo e la sua opera di redenzione.

Cipriano metterà in evidenza come il martirio sia un secondo battesimo, superiore al battesimo d’acqua, perché unisce immediatamente l’individuo a Dio. Per questo motivo il martire diventerà un intercessore presso Dio a favore dei fratelli.

A partire dal IV secolo, si sviluppa il culto dei martiri, che in precedenza venivano venerati in maniera sobria. Due sono le fondamentali espressioni di questo culto: la cura delle tombe dei martiri, sulle quali vengono edificate grandi basiliche; e la celebrazione della festa del martire nel giorno anniversario della sua morte, cioè del suo “dies natalis”.

Con la fine delle persecuzioni (Editto di Milano o di Costantino, febbraio 313), nasce una domanda nuova: “Come vivere il martirio dove non ci sono più persecuzioni?

Si vedrà il monachesimo e le altre forme di santità come modi diversi per vivere il martirio, dove non c’è più la persecuzione. Clemente teorizzerà il martirio come perfezione della vita cristiana, in quanto espressione massima di carità e amore trasformante, che porta il martire ad annullare se stesso per essere completamente di Dio.

Sviluppando questa teologia, si diffonderà l’idea, soprattutto in ambito irlandese, secondo cui si può parlare di tre forme di martirio: il martirio rosso, quello in senso proprio, caratterizzato dallo spargimento del sangue; il martirio bianco, quello di chi dedica la propria vita a Dio nell’ascesi e nella verginità; il martirio verde, vissuto mettendo in atto le opere penitenziali o il viaggio missionario per portare il vangelo in altri paesi.

Il martirio verde sarà molto apprezzato. La maggior parte dei martiri, venerati nella Chiesa dalla fine del Medioevo ad oggi, appartengono infatti alla storia delle missioni. Dalla Cina alla Corea, al Giappone, dal Vietnam all’India, dall’Oceania all’America del Nord, all’Africa, all’Europa.

4 – oggi il martirio è globale

Durante il Giubileo del 2000, la Chiesa cattolica ha preso coscienza del fatto che l’esperienza del martirio è ancor oggi attualissima.

* L’evangelizzazione e il martirio non sono più patrimonio esclusivo degli istituti missionari “ad gentes”, ma delle Chiese locali, che danno prova di un nuovo protagonismo.  Non di rado sono i laici a morire, più vulnerabili dei preti o dei vescovi.

 

  • “Nel nostro secolo XX sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi militi ignori della grande causa di Dio. Sono uomini e donne che hanno seguito Cristo nelle varie forme della vocazione religiosa” (TMA 37). Cambiano le situazioni, ma la testimonianza fedele a Cristo, fino all’effusione del sangue, permane. E le ragioni che sostengono la fede dei credenti di oggi sono in fondo identiche a quelle che hanno sostenuto i martiri di ogni tempo nella professione della loro fede: Non possiamo vivere senza Cristo. A tutto possiamo rinunciare, ma non a Cristo. La fede in Lui vale più della vita stessa, perché una vita senza Cristo è vuota e senza senso. (cfr la testimonianza dei  49 martiri di Abitène, in Tunisia, morti sotto  Diocleziano nel 304).
  • Nel contesto contemporaneo, “Un credente può inoltre sacrificare la propria vita nella minaccia quotidiana, nella paura e nella insicurezza quotidiana, nella sofferenza quotidiana del corpo e dell’anima, come fecero molti credenti nei campi di concentramento, nei gulag e nelle prigioni, o sopportando i pedinamenti della polizia segreta, e gli interrogatori con inumani tormenti. Tutti questi, se poterono sopportare le terribili condizioni della persecuzione, se non trovarono la morte, hanno potuto rendere ammirabile testimonianza di fede. Molti la danno pure oggi, in tutto il mondo” (Cardinal Jan Chryzostom Korec, arcivescovo di Nitra in Slovacchia, 7 agosto 2005).
  • Le situazioni storiche infatti sono cambiate; diverso è il modo di concepire la società, diverso il rapporto tra cristianesimo e società. Oggi si può essere perseguitati per la fede o per l’amore a Cristo, ma lo si è maggiormente perché si lotta per la pace, la giustizia, i diritti umani, i valori che il Regno di Dio propone. Molti martiri sono oggi generati dall’impegno per salvare l’uomo dalle ideologie totalitarie, dalla povertà strutturale in cui vivono molte società, dalla mancanza di dignità. Ogni tempo crea i suoi martiri.

Nella nostra epoca, il prezzo da pagare per la fedeltà al Vangelo non è tanto quello di essere impiccati, affogati e squartati, ma spesso implica l’essere additati come irrilevanti, ridicolizzati o fatti segno di parodia.” (Benedetto XVI, Discorso a Hyde Park, 18 settembre 2010).

 

CHI È IL MARTIRE?

Martire (martys, martyr) nel suo significato etimologico originario significa testimone. Col tempo, si arricchirà di significati nuovi, che ne qualificheranno meglio il concetto.

Sono tre i criteri per riconoscere un martire, codificati da Papa Benedetto XIV. Il primo criterio è la morte violenta. Ad esempio, chi viene ucciso in una camera a gas, strangolato, fucilato, ma anche la morte passiva, vale a dire chi viene lasciato morire di fame e di sete. Il secondo criterio è quello di avere dato una testimonianza cristiana, e un esempio lo abbiamo in Germania, con i cattolici che non hanno mai votato né sostenuto pubblicamente Hitler e per quello sono stati perseguitati. Il terzo criterio è quello di essere disponibili ad essere uccisi per la fede: se quanti hanno dato testimonianza poi fanno un passo indietro nel momento della prova, non possono essere considerati martiri. Questi sono i criteri della fede, validi fino ad oggi.

Benedetto XVI interpreta il martirio come un segno di amore infinito. Non c’è nessuna rabbia, nessun odio nel martirio, ma solo l’atto supremo d’amore.

“Dove si fonda il martirio? La risposta è semplice: sulla morte di Gesù, sul suo sacrificio supremo d’amore, consumato sulla Croce affinché noi potessimo avere la vita.” (Benedetto XVI, Visita alla Chiesa luterana di Roma [14 marzo 2010]). Il martire segue il Signore fino in fondo, accettando liberamente di morire per la salvezza del mondo, in una prova suprema di fede e di amore (cfr Lumen Gentium, 42).

Ancora una volta, da dove nasce la forza per affrontare il martirio? Dalla profonda e intima unione con Cristo, perché il martirio e la vocazione al martirio non sono il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta ad un’iniziativa e ad una chiamata di Dio, sono un dono della Sua grazia, che rende capaci di offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa, e così al mondo. In una parola, il martirio è un grande atto di amore in risposta all’immenso amore di Dio” (Benedetto XVI, 11 agosto 2010).

1 – anzitutto è un discepolo

Bruno Maggioni, noto biblista, ricercando la radice teologica del martire, afferma che il martire non è colui che sceglie la morte, ma un modo di vivere, quello di Gesù. Scriveva Ignazio di Antiochia nel suo cammino verso il martirio: “Allora sarò veramente discepolo del Signore, quando il mondo non vedrà più il mio corpo, perché nel martirio comincerò ad essere discepolo” (cf. Ai Romani IV,3; V,3).

Egli è anzitutto un discepolo di Gesù, che segue il Maestro, ascoltando e custodendo nel cuore la sua parola e agendo come lui ha agito, quando si trova in situazioni simili. Soprattutto davanti al mistero della croce.

Ha imparato che è proprio il crocifisso colui che «ha narrato Dio» (cf. Gv 1,18) e sa che Gesù «ha reso testimonianza alla verità» (cf. Gv 18,37: verbo martyréo), trasformando uno strumento di esecuzione capitale in occasione di amore supremo.

2 – è un testimone

Il discepolo diventerà testimone della potenza della sua risurrezione e mai abbandonerà il suo Signore, anche se sarà necessaria l’effusione del sangue. Il martirio è vita risorta!

3 – fino all’effusione del sangue

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, al n° 2473, troviamo la sintesi: “Il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto al quale è unito dalla carità”.

A ragione afferma E. Bianchi: “Ciò che fa di un uomo un martys, un vero testimone di Cristo, è la sua conformazione al Signore. Solo ci vive sulle tracce del Signore Gesù, deponendo la propria vita giorno dopo giorno perché gli altri vivano, testimonia in qualche misura la potenza della resurrezione che già opera in questo mondo” (Il libro dei testimoni. Martirologio ecumenico).

Ripetiamolo: il discepolo diventa testimone e martire quando imita perfettamente Gesù, nella totalità della sua esperienza, fino a dare la vita per amore, fino al sangue.

4 – causa di speranza per tutti e seme di nuovi cristiani

Versando il suo sangue, il martire provoca alla speranza. È un seme che muore, ma è anche promessa di spighe turgide. È chicco di grano affidato allo stridore del mulino, ma contiene già la fragranza del pane caldo.

Come Cristo, il martire muore a braccia spalancate: abbracciando. Muore restando in piedi: da risorto. Muore dicendo “si” nell’attimo stesso di morire.

Esso proclama al mondo che è possibile vivere il Vangelo fino in fondo, che la via della Croce non è solo “dolorosa”, ma anche “luminosa”.

P. G. Ronco, imc

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