Un luminoso esempio

Ecco alcune testimonianze dei familiari di suor Leonella, che esprimono la gioia e lo stupore di avere una Beata e martire nella propria famiglia.

Un caro amico, saputa la notizia della beatificazione di Suor Leonella, si è (e mi ha) chiesto: “Chissà cosa si prova ad avere una Beata in famiglia”. Non è una domanda semplice; immagino, del resto, che la risposta sia diversa per ciascuno di noi familiari.

Certo questo evento è, per tutti noi, motivo di gioia e di (seppure immeritato) orgoglio… ma poi? Che cosa “dice” a ciascuno di noi? Soprattutto a noi parenti più giovani, che – senza averla conosciuta direttamente – ce la troviamo davanti come un luminoso esempio.

Personalmente, nel fatto che da un “ramo” del mio albero genealogico, nato dalla stessa terra, nutrito della stessa “linfa”, dello stesso sangue, della stessa cultura, sia maturato il frutto della vita straordinaria di Suor Leonella, leggo una domanda per me, per la mia vita: un interrogativo molto semplice: un “e tu?” che ha il sapore di un invito a prendere più sul serio la vita di ogni giorno, ad essere più attenta a riconoscere i segni del progetto di Dio su di me e più coraggiosa nel seguirli.

Un esempio così grande può anche spaventare, perché se è vero che era “una di noi” è vero anche che non possiamo sperare di essere alla sua altezza; ma rileggendo una sua lettera ho trovato un passaggio che mi è stato di conforto. Diceva: “ho cercato di fare l’unica cosa che penso serva: voler bene…” ed ecco, questo è qualcosa che possiamo provare a fare anche noi, così piccoli.

Barbara Sgorbati, nipote

 

Sono molto felice di aver avuto come zia una persona così speciale come Suor Leonella, che ho potuto conoscere negli anni, sempre presente nella mia mente anche se viveva in Missione e quindi distante da me.

Con mia madre si sentivano di tanto in tanto anche telefonicamente. Ho avuto occasioni di incontro con lei anche in Kenya, dove ho potuto visitare alcune missioni e parlare con lei direttamente, passando alcuni momenti di felicità. In realtà non amava raccontare di sé ma chiedeva sempre di me e della famiglia e di come stavamo.

Suor Leonella era sempre molto presente e partecipe anche se a distanza, sorridente e gentile nei momenti di incontro, disposta ad aiutare nel bisogno, valutando attentamente ogni situazione.

Adorava i bambini che erano sempre motivo di gioia e felicità, come ho potuto constatare anche durante la sua permanenza in Italia, in particolare durante una recente festività natalizia.

Indipendentemente da quanto ha fatto di speciale per molte altre persone nel mondo, è stata ed è comunque anche oggi, per me e per tutti noi familiari, una presenza importante.

Un nipote

 

 

Un sorriso luminoso, un vulcano di energia da cui scaturivano lapilli di comprensione e intelligenza, un cuore senza confini. Questa l’immagine che mi rimane di Suor Leonella, “zia Rosetta” per noi nipoti.

Nella sua vita ha vissuto l’“Ora et labora”, certo, ma l’immagino meglio dedita al “labora”, tra i suoi pazienti e le sue infermiere in Kenya.

Nei miei ricordi d’infanzia sono presenti i racconti su Rosa Sgorbati, presto orfana di papà Carlo, cui mio papà, suo fratello Renzo, fece da tutore, molto soffrendo per la scelta della sorella di consacrarsi a Dio, per l’inevitabile lontananza dalla famiglia.

Ogni sette anni circa aspettavamo la sua visita di ritorno dall’Africa, di cui molto ci raccontava, evitando però di soffermarsi su fatiche e pericoli; a parte durante l’ultima sua visita, in cui mi disse che si aspettava un incontro con una pallottola: me lo ripeté due volte, quasi volesse essere sicura che avessi compreso.

Ho molto gioito per la sua Beatificazione, non solo per il riconoscimento del suo sacrificio, ma anche per le martiri che l’hanno preceduta, persone straordinarie nella loro semplicità, impegnate a fare tanto bene.

Voglio ringraziare moltissimo Suor Renata dell’impegno per questo riconoscimento, e tutte le Missionarie della Consolata per l’incommensurabile contributo di amore e coraggio.

Bruno Sgorbati, nipote

 

la giovane Rosetta con la famiglia

Il mio primo contatto con Rosetta è stato già nel grembo materno.

Mi ricordo poi che, da brava “monella” di 7 anni aspettava di vedere mia mamma seduta, poi prendeva la rincorsa dalla parte opposta della stanza e le si buttava a cavalcioni sulle ginocchia.

Siamo state insieme fino ai miei due anni, poi ci sono state le frequenti festose visite della domenica pomeriggio ed infine un periodo di circa 25 giorni nel 1977.

Era felice come se fosse tornata bambina.

Chiedeva di fare le camminate come faceva con la mamma, quando andava a visitare i parenti e a pregare in una cappelletta dedicata alla Madonna ma, nello stesso tempo, quando si chiacchierava, strada facendo, capivi che era lì solo fisicamente. La sua mente e il suo cuore erano altrove e costantemente ripeteva che avrebbe voluto essere in Kenya perché lì c’era tanto bisogno di aiuto.

Diceva anche che purtroppo c’erano zone ancora più povere di quelle in cui stava lei, era dove mancava veramente tutto ed era lì che lei avrebbe voluto andare.

Sarà stata una premonizione?…

Ed ora la gioia, l’incredulità di avere una beata in famiglia, l’emozione, la felicità per la sua beatificazione. Una celebrazione che mi ha convolta e mi ha risvegliata interiormente… mi ha tolto un po’ di stanchezza dal cuore.

Ora ho la sensazione di sentirmi più forte perché ho Rosetta che mi tiene la mano sul capo.

Gabriella Sgorbati, cugina

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