Una speranza per l’unità

Riportiamo l’intervista rilasciataci da Mons. Giorgio Bertin, Vescovo di Djibouti e Amministratore Apostolico della Chiesa di Mogadiscio, che accompagnò le Missionarie della Consolata nel loro cammino missionario in Somalia e l’iter della Beatificazione di suor Leonella.

Mons. Bertin, anzitutto grazie per aver accettato di condividere con noi la sua preziosa esperienza in terre aride e insieme complesse come quelle di Djibouti e Somalia. Ci può raccontare brevemente quale è stata la sua esperienza in questi anni come Pastore di quelle Chiese?

Con l’uccisione di Mons. Salvatore Colombo, il 9 luglio 1989, mi sono trovato improvvisamente a diventare il “Pastore” della piccola comunità cattolica in Somalia. È vero che ero stato il Vicario Generale di Mons. Salvatore, ma di colpo ho dovuto cambiare la mia vita. Ho portato avanti la piccola Chiesa in Somalia fino all’inizio del 1991. Il 9 gennaio del ‘91 la cattedrale fu data alle fiamme. Dopo aver fatto partire tutti i missionari in quel contesto di guerra civile, anch’io con tre Suore Missionarie della Consolata ho dovuto lasciare la Somalia il 16 gennaio 1991. Mi installai a Nairobi in Kenya. Dopo più di un mese le vostre tre sorelle poterono ritornare a Mogadiscio per lavorare all’interno del Villaggio SOS. Dal 1991 al 2001 continuai il mio servizio verso i Somali e il resto dei cattolici facendo delle visite regolari a Mogadiscio e nel resto della Somalia, unendo alle attività pastorali anche quelle caritative. Mi occupai dei rifugiati somali in Kenya; feci delle visite a Somali rifugiati in Yemen, Djibouti, Etiopia. Aprii un piccolo programma in lingua somala a Radio Vaticana (che continua ancora). Preparai la traduzione e la stampa di tre libretti in lingua somala: I 4 Vangeli, La Bibbia dei bambini, Domande e risposte sulla fede cattolica. Nel 2001 fui ordinato vescovo di Djibouti: mi trasferii allora a Djibouti, rimanendo comunque Amministratore Apostolico della Somalia. Qui a Djibouti dovetti impegnarmi su due fronti: la Chiesa che è in Djibouti e la Somalia. Per la Somalia continuai soprattutto le opere umanitarie come Caritas Somalia e le mie visite più o meno regolari e anche a carattere pastorale. A Djibouti, oltre l’attività pastorale, due sono i campi del nostro apostolato: le scuole cattoliche e Caritas di Djibouti. Anche in situazioni difficili e complesse si può sempre essere missionari!

 

È possibile in Paesi come questi intendersi tra religioni diverse e quali passi sono stati fatti a livello di dialogo interreligioso?

Più che intendersi tra religioni, è possibile lavorare insieme in quanto credenti cristiani e musulmani. Ho preferito dunque privilegiare quello che è chiamato “il dialogo delle opere”. Nella mia esperienza posso dire che le persone prima di essere cristiane o musulmane, sono creature/figli di Dio: a questo livello è sempre possible incontrarsi, lavorare insieme e aiutarsi. Il nostro lavoro “insieme” si fa attraverso le scuole (come a Djibouti) e attraverso le azioni umanitarie di emergenza o di sviluppo.

Le nostre Sorelle che hanno speso parecchi anni in Somalia ci raccontano quanto sia difficile per un cristiano vivere la propria fede per il fatto che non c’è la libertà di esprimerla pubblicamente, ma devono viverla di nascosto. Inoltre negli ultimi anni la presenza degli estremisti islamici ha peggiorato la situazione ancora di più giacché sono una minaccia non solo per i pochi cristiani, ma anche per la popolazione in generale. Che cosa fa la Chiesa a questo riguardo?

Certamente in Somalia non è possibile vivere apertamente la propria fede: per i pochi cristiani somali questo è impossibile; non si devono manifestare in quanto cristiani. Per gli stranieri, comprese le suore, è possibile vivere da cristiani, però in modo discreto e senza fare rumore. Gli estremisti musulmani sono certo una minaccia per noi cristiani; ma lo sono anche per la maggior parte dei musulmani perché tolgono anche a loro un buon margine di libertà. Gli estremisti musulmani hanno ucciso non solo dei cristiani ma anche, molto più, dei musulmani perché non la pensavano come loro. La Chiesa a livello mondiale deve continuare ad invitare al rispetto reciproco e alla collaborazione: lo fa il Papa con i suoi discorsi e i suoi messaggi; lo fanno i Nunzi a livello diplomatico, lo fanno i vescovi cercando di incontrare le varie autorità nazionali. Anche i vari Stati e le organizzazioni internazionali (come l’ONU) dovrebbero fare di più: esigendo il rispetto di ogni essere umano come d’altronde riconosce la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Devono soprattutto aiutare a far rinascere le istituzioni statali in Somalia: queste faranno il bene alla popolazione somala e anche a noi cristiani.

 

Veniamo a suor Leonella, che aveva aiutato tutti, cristiani o musulmani che fossero, pensando solo ad alleviare le sofferenze della povera gente. E il giorno della sua uccisione, una grande folla si è radunata fuori dall’ospedale in segno di gratitudine. Secondo lei, il suo martirio ha portato qualche frutto, anche se piccolo, negli anni successivi alla sua morte?

La morte di Suor Leonella, come la morte di altri “martiri” porta frutto anzitutto nella coscienza delle persone: il loro ricordo rimane nel cuore di coloro che li hanno conosciuti o che ne hanno sentito parlare; è come un granello di senapa, che non si vede, ma che porta frutto a suo tempo. Noi forse non siamo capaci di vederne i frutti con i nostri occhi “mortali” ma se mettiamo le “lenti” di Dio, allora sapremo vedere che una messe abbondante sta crescendo. L’esempio di Suor Leonella è uno stimolo per tutti per cercare il bene, per servire i poveri, per rispettare le differenze, per amare la libertà per sé e per tutti.

 

Lei è stato testimone di tanti fatti relativi a suor Leonella, che cosa direbbe oggi a noi Missionari e Missionarie della Consolata che abbiamo il carisma della missione “ad gentes”  tra i non cristiani?

Cercate veramente di essere presenti là dove manca l’amore di Cristo, là dove sono le tenebre, là dove è l’ingiustizia, là dove regna l’ignoranza. Non cercate i luoghi facili: come missionarie ad gentes dovete amare quei luoghi dove Cristo non è conosciuto; con la vostra presenza è Gesù che si avvicina all’uomo, che lo solleva e lo trasforma!

suor Gloria Elena López

 

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